Il 27 gennaio 2010 una potente mareggiata ha devastato la costa della Sicilia Orientale (tra Santa Teresa di Riva e Capo Scaletta) causando diffusi danni all’ambiente antropizzato e una irreversibile erosione dei sedimenti che costituiscono la spiaggia emersa. Una parte di tali sedimenti sarà in seguito restituita alla spiaggia, una parte spostata dalla forte corrente indotta dal moto ondoso che incideva obliquamente sulla costa alimentato da un forte vento di scirocco (vedi in figura il riquadro 1 che rappresenta la provenienza del vento misurata dalla Rete Mareografica Nazionale a Messina) è andata ad alimentare la spiaggia compresa tra Santa Teresa di Riva e il promontorio indicato con il cerchio bianco e la lettera B in figura 1, un’altra porzione è stata irreversibilmente sottratta alla spiaggia proprio in corrispondenza del punto B a causa della deviazione verso il largo della potente corrente costiera che durante le forti mareggiate trascina i sedimenti verso fondali con profondità superiore a 5 m che non saranno più recuperati naturalmente. Ricerche innovative svolte lungo i litorali hanno messo in evidenza che il trasporto lungo costa e la dispersione obliqua irreversibile dei sedimenti avviene sistematicamente in corrispondenza delle brusche variazioni della morfologia, specialmente quando la morfologia costiera presenta una modificazione come nel caso dei punti A, B e C di figura 1.
La mareggiata del 27 gennaio c.a., fortunatamente, è avvenuta nel periodo in cui il livello medio marino si trovava circa 5 cm al di sotto del livello medio, come evidenziato dal mareografo di Messina (riquadro 2, in rosso trasparente di figura 1).
La mareggiata che ha investito la costa tirrenica, avvenuta tra la fine del 2009 e l’1 e 2 gennaio 2010, si è verificata invece in un periodo in cui il livello medio marino era più alto del livello medio di circa 40-45 cm, come evidenziato dal mareografo di Messina (rettangolo giallo trasparente di figura 1) e dal mareografo di Palermo (rettangolo giallo trasparente di figura 2). E’ evidente che ai 40-45 cm circa di sollevamento del livello marino più alto del normale si è sommato l’ulteriore sollevamento del mare (che può raggiungere e superare anche i 100 cm) che di solito si determina sotto costa durante le mareggiate.
Come si vede, gli effetti dannosi dell’ultima mareggiata del 27 gennaio u.s. avrebbero potuto essere ancora più gravi se la mareggiata si fosse verificata circa un mese prima quando il livello medio marino dei mari italiani era più alto del normale di alcune decine di centimetri, come evidenziato dai mareografi della Rete Mareografica Italiana.
La mareggiata del 27 gennaio c.a., fortunatamente, è avvenuta nel periodo in cui il livello medio marino si trovava circa 5 cm al di sotto del livello medio, come evidenziato dal mareografo di Messina (riquadro 2, in rosso trasparente di figura 1).
La mareggiata che ha investito la costa tirrenica, avvenuta tra la fine del 2009 e l’1 e 2 gennaio 2010, si è verificata invece in un periodo in cui il livello medio marino era più alto del livello medio di circa 40-45 cm, come evidenziato dal mareografo di Messina (rettangolo giallo trasparente di figura 1) e dal mareografo di Palermo (rettangolo giallo trasparente di figura 2). E’ evidente che ai 40-45 cm circa di sollevamento del livello marino più alto del normale si è sommato l’ulteriore sollevamento del mare (che può raggiungere e superare anche i 100 cm) che di solito si determina sotto costa durante le mareggiate.
Come si vede, gli effetti dannosi dell’ultima mareggiata del 27 gennaio u.s. avrebbero potuto essere ancora più gravi se la mareggiata si fosse verificata circa un mese prima quando il livello medio marino dei mari italiani era più alto del normale di alcune decine di centimetri, come evidenziato dai mareografi della Rete Mareografica Italiana.
Figura 1: Effetti sul litorale compreso tra Capo S. Alessio e Capo Scaletta della mareggiata del 27 gennaio 2010. Riquadro 1: direzione di provenienza del vento che ha causato la mareggiata misurata a Messina (Rete Idrometrica Nazionale); riquadro 2: oscillazione del livello del mare tra novembre 2009 e l’inizio di febbraio 2010 misurata a Messina (Rete Idrometrica Nazionale). I rettangoli rosso trasparente e giallo trasparente indicano rispettivamente il livello del mare durante la mareggiata del 27 gennaio 2010 e del 1-2 gennaio 2010 (che ha interessato la costa tirrenica).
Figura 2: Effetti sul litorale compreso tra i Laghi di Marinello e Capo Milazzo della mareggiata del 1-2 gennaio 2010. Riquadro A: direzione di provenienza del vento che ha causato la mareggiata misurata a Palermo (Rete Idrometrica Nazionale); riquadro 2: oscillazione del livello del mare tra dicembre 2009 e la fine di gennaio 2010 misurata a Palermo (Rete Idrometrica Nazionale). I rettangoli rosso trasparente e giallo trasparente indicano rispettivamente il livello del mare durante la mareggiata del 27 gennaio 2010 (che ha interessato la costa ionica) e del 1-2 gennaio 2010.
Ma che sta succedendo alle spiagge siciliane?
L’erosione che sta distruggendo le spiagge della Sicilia si inquadra nel fenomeno generale che sta interessando tutte le coste mediterranee.
Le variazioni climatiche storiche hanno esercitato un impatto di notevole importanza sull’evoluzione dei litorali.
La costruzione dei litorali con sabbia rifornita dai bacini imbriferi (silicoclastica) è avvenuta durante i periodi freddo-umidi, cioè durante le Piccole Età Glaciali. L’ultimo ripascimento naturale si è verificato tra il 1500 e la fine del 1800 (figura 3). A partire dall’inizio del 1900 l’alimentazione naturale è stata progressivamente sempre più scarsa e le spiagge hanno iniziato a “dimagrire” specialmente in corrispondenza degli apparati di foce dei fiumi dove si riscontrano i fenomeni erosivi più gravi che spesso hanno provocato la distruzione di oltre 1000 metri di spiaggia negli ultimi 100 anni.
Gran parte delle spiagge attualmente sono solo parzialmente e insufficientemente alimentate di sabbia grazie alla erosione o cannibalizzazione dei sedimenti delle aree deltizie che sono quelle interessate da erosione molto grave.
L’erosione che da diverse decine di anni sta interessando le spiagge con sabbia silicoclastica dell’Italia meridionale e del mediterraneo durerà ancora per almeno 100 - 150 anni.
Che si può fare?
La generalizzata erosione delle spiagge finora è stata contrastata mediante interventi di difesa basati su vetuste conoscenze geoambientali e improntati ad una sorpassata ed inefficace, nei tempi medio-lunghi, difesa ad oltranza tipo “Linea Maginot” (che era già inutile quando fu realizzata).
In vari progetti si continua a proporre un irrealizzabile ripascimento artificiale con sabbia prelevata dai fondali marini che si è rivelato inattuabile (non c’è sabbia sufficiente per tutte le spiagge in erosione) e si identifica come “un intervento di nicchia” non duraturo e molto costoso ma molto buono per spendere soldi pubblici con la scusa dell’emergenza.
Si sottolinea che in questo quadro ambientale riveste un ruolo di primaria importanza l’individuazione delle vie di dispersione obliqua e concentrata della sabbia, ancora presente sulle spiagge, al fine di mitigare le perdite.
E’ evidente che il restauro geoambientale delle spiagge mediante ripascimento duraturo assume notevole importanza economica e ambientale dal momento che in seguito all’ampliamento di 35 m di una spiaggia lunga 1 km si può ricavare da un minimo di un milione di euro a 2,8 milioni annui con un ampliamento di 45 metri. Dopo un anno dal ripascimento, i ricavi aumentano del 12-15 per cento per gli arenili medi e grandi e fino al 18% per le spiagge piu’ piccole (dati Nomisma, 2005).
Da molti anni, sulla scorta di ricerche pluridecennali, lo scrivente ha proposto progetti di intervento di restauro geoambientale duraturo e sostenibile dei litorali mediante ripascimento di sedimenti simili a quelli esistenti sulle spiagge ma di adeguata granulometria in modo da non essere rapidamente erosi.
L’esempio più evidente e documentato di ripascimento naturale e longevo è rappresentato dalla spiaggia di Vietri sul Mare (SA) che nell’ottobre 1954 fu interessata dall’accumulo di circa 300.000-400.000 metri cubi di detriti trasportati dalle colate di fango che devastarono i versanti del Torrente Bonea nella notte tra il 25 e 26 in coincidenza con una eccezionale evento piovoso (circa 350 mm in 6 ore tra le 20 del 25 ottobre e le 2 del 26 ottobre). I detriti (ghiaioso-sabbiosi) determinarono un istantaneo ripascimento che incrementò di oltre 100 metri la spiaggia che rappresenta tuttora la risorsa fisica che sostiene l’economia turistico-balneare di Vietri. Dal 1954 ad oggi la linea di riva ha subito un arretramento medio di circa 20 metri, come è agevolmente riscontrabile dal confronto delle carte topografiche, mappe catastali e foto aeree.
Da una ricerca diretta, mediante rilievi trentennali e confronto di foto aeree e carte varie, è emerso che le spiagge ghiaioso-sabbiose simili a quelle di Vietri sul Mare, della costiera Amalfitana e della costa tra Scario e Punta Infreschi nel Cilento, Maratea in Basilicata, Praia a Mare e Scalea in Calabria, sono le più stabili in quanto i sedimenti grossolani, più pesanti della sabbia, non vengono erosi e asportati obliquamente alla spiaggia dalle correnti indotte dalle forti mareggiate.
Ma che sta succedendo alle spiagge siciliane?
L’erosione che sta distruggendo le spiagge della Sicilia si inquadra nel fenomeno generale che sta interessando tutte le coste mediterranee.
Le variazioni climatiche storiche hanno esercitato un impatto di notevole importanza sull’evoluzione dei litorali.
La costruzione dei litorali con sabbia rifornita dai bacini imbriferi (silicoclastica) è avvenuta durante i periodi freddo-umidi, cioè durante le Piccole Età Glaciali. L’ultimo ripascimento naturale si è verificato tra il 1500 e la fine del 1800 (figura 3). A partire dall’inizio del 1900 l’alimentazione naturale è stata progressivamente sempre più scarsa e le spiagge hanno iniziato a “dimagrire” specialmente in corrispondenza degli apparati di foce dei fiumi dove si riscontrano i fenomeni erosivi più gravi che spesso hanno provocato la distruzione di oltre 1000 metri di spiaggia negli ultimi 100 anni.
Gran parte delle spiagge attualmente sono solo parzialmente e insufficientemente alimentate di sabbia grazie alla erosione o cannibalizzazione dei sedimenti delle aree deltizie che sono quelle interessate da erosione molto grave.
L’erosione che da diverse decine di anni sta interessando le spiagge con sabbia silicoclastica dell’Italia meridionale e del mediterraneo durerà ancora per almeno 100 - 150 anni.
Che si può fare?
La generalizzata erosione delle spiagge finora è stata contrastata mediante interventi di difesa basati su vetuste conoscenze geoambientali e improntati ad una sorpassata ed inefficace, nei tempi medio-lunghi, difesa ad oltranza tipo “Linea Maginot” (che era già inutile quando fu realizzata).
In vari progetti si continua a proporre un irrealizzabile ripascimento artificiale con sabbia prelevata dai fondali marini che si è rivelato inattuabile (non c’è sabbia sufficiente per tutte le spiagge in erosione) e si identifica come “un intervento di nicchia” non duraturo e molto costoso ma molto buono per spendere soldi pubblici con la scusa dell’emergenza.
Si sottolinea che in questo quadro ambientale riveste un ruolo di primaria importanza l’individuazione delle vie di dispersione obliqua e concentrata della sabbia, ancora presente sulle spiagge, al fine di mitigare le perdite.
E’ evidente che il restauro geoambientale delle spiagge mediante ripascimento duraturo assume notevole importanza economica e ambientale dal momento che in seguito all’ampliamento di 35 m di una spiaggia lunga 1 km si può ricavare da un minimo di un milione di euro a 2,8 milioni annui con un ampliamento di 45 metri. Dopo un anno dal ripascimento, i ricavi aumentano del 12-15 per cento per gli arenili medi e grandi e fino al 18% per le spiagge piu’ piccole (dati Nomisma, 2005).
Da molti anni, sulla scorta di ricerche pluridecennali, lo scrivente ha proposto progetti di intervento di restauro geoambientale duraturo e sostenibile dei litorali mediante ripascimento di sedimenti simili a quelli esistenti sulle spiagge ma di adeguata granulometria in modo da non essere rapidamente erosi.
L’esempio più evidente e documentato di ripascimento naturale e longevo è rappresentato dalla spiaggia di Vietri sul Mare (SA) che nell’ottobre 1954 fu interessata dall’accumulo di circa 300.000-400.000 metri cubi di detriti trasportati dalle colate di fango che devastarono i versanti del Torrente Bonea nella notte tra il 25 e 26 in coincidenza con una eccezionale evento piovoso (circa 350 mm in 6 ore tra le 20 del 25 ottobre e le 2 del 26 ottobre). I detriti (ghiaioso-sabbiosi) determinarono un istantaneo ripascimento che incrementò di oltre 100 metri la spiaggia che rappresenta tuttora la risorsa fisica che sostiene l’economia turistico-balneare di Vietri. Dal 1954 ad oggi la linea di riva ha subito un arretramento medio di circa 20 metri, come è agevolmente riscontrabile dal confronto delle carte topografiche, mappe catastali e foto aeree.
Da una ricerca diretta, mediante rilievi trentennali e confronto di foto aeree e carte varie, è emerso che le spiagge ghiaioso-sabbiose simili a quelle di Vietri sul Mare, della costiera Amalfitana e della costa tra Scario e Punta Infreschi nel Cilento, Maratea in Basilicata, Praia a Mare e Scalea in Calabria, sono le più stabili in quanto i sedimenti grossolani, più pesanti della sabbia, non vengono erosi e asportati obliquamente alla spiaggia dalle correnti indotte dalle forti mareggiate.
Figura 3: sintesi dei dati relativi alle modificazioni stratigrafiche e morfologiche delle pianure costiere antropizzate del Mediterraneo (colonna 1), alla ricostruzione della variazione delle precipitazioni e temperature (colonna 2) e delle spiagge con sabbia organogena (a) e silicoclastica (b) in colonna 3 (CO: costruzione delle spiagge; DI: distruzione delle spiagge).
Considerando la particolare importanza ambientale e socio-economica delle spiagge della Sicilia e tenendo presente che l’erosione dei sedimenti che costituiscono le spiagge, in relazione alle previste condizioni climatiche a scala pluridecennale, durerà ancora per un lungo periodo, la Regione dovrebbe dotarsi di un aggiornato quadro relativo allo stato attuale e alla previsione dei problemi per l’ambiente antropizzato e urbanizzato che si avranno nel prossimo futuro in seguito all’accentuazione della distruzione dei litorali.
Conseguentemente, oltre a interventi ingegneristici in situazioni di pericolo, si dovrebbero mettere a punto sistemi di restauro geoambientale delle spiagge riproducendo l’azione della natura durante i secoli scorsi quando dal 1700 alla fine del 1800 con condizioni climatiche molto più piovose i corsi d’acqua hanno trasportato in mare ingenti volumi di sedimenti (parte terminale della Piccola Età Glaciale) che hanno completato la costruzione naturale delle spiagge.
Dal momento che nell’attuale periodo di cambiamento climatico il rifornimento naturale di sedimenti alle spiagge è insufficiente per cui il mare riconquista progressivamente l’area che era stata colmata dai sedimenti nei secoli scorsi è possibile effettuare un ripascimento del litorale aggiungendo sedimenti simili a quelli esistenti. Le nuove “sorgenti” di sedimenti sono individuabili lungo varie fiumare il cui fondovalle non urbanizzato e antropizzato è colmato da sedimenti fossili che non saranno mai trasportati in mare.
Altri sedimenti per restaurare le spiagge potrebbero essere ricavati dal restauro ambientale delle cave abbandonate in modo da ottenere i classici due piccioni con una fava: il restauro delle cave prima che vengano riempite di rifiuti e il recupero di territorio pregiato di grande valenza ambientale e socio-economica. Si tenga presente che un metro quadrato di spiaggia lambita da acqua marina non inquinata è in grado di sostenere un fatturato annuo variabile da alcune centinaia di euro ad oltre 2000 euro, come verificato con le ricerche. Un idoneo e sostenibile restauro delle spiagge garantirebbe la sicurezza all’ambiente antropizzato e metterebbe a disposizione delle istituzioni pubbliche un nuovo territorio di elevato valore ambientale ed economico; gli interventi potrebbero essere realizzati con un trasparente ed originale rapporto pubblico-privato.
Interventi simili devono essere inquadrati in un piano di restauro e valorizzazione ambientale regionale, comprensoriale e provinciale teso a conservare i litorali sabbioso-ghiaiosi che costituiscono un patrimonio autoctono di grande valore ambientale e socio-economico (destinato a scomparire con le condizioni climatiche attuali) e alla difesa idrogeologica e valorizzazione dei versanti e delle valli.
In tempi brevi potrebbero essere individuate alcune aree campione, significativamente rappresentative delle varie realtà costiere, nelle quali mettere a punto progetti di sviluppo ambientale condivisi da realizzare con un adeguato e continuo monitoraggio.
Franco Ortolani
Ordinario di Geologia
Direttore del Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio
Università di Napoli Federico II
Giuseppe Aveni
Architetto – Dirigente Regione Siciliana
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