venerdì 4 settembre 2009

Antichi mestieri: 'U CUSTURERI.



Da qualche anno a questa parte, nella riviera jonica (e non solo), è esplosa la moda della riscoperta dei cosidetti "antichi mestieri". Allo stesso modo anche le tradizioni popolari più antiche, che fino a non molti decenni orsono costituivano semplicemente il "pane di tutti i giorni" della gente comune, adesso diventano oggetto di studio e di corsi per la formazione professionale, se non addirittura di propaganda politica. Si vuole dunque fare un passo indietro? Non credo! Infatti, mestieri come: 'U CUSTURERI (il sarto), 'U FALLIGNAMI e 'U SCARPARU (il calzolaio, inteso come riparatore e risuolatore, ma anche come produttore di scarpe su misura) - solo per fare degli esempi - così come venivano intesi all'epoca non hanno più motivo di esistere, non fosse altro che per antieconomicità e moda del consumismo svelto.

In questo post vi racconterò 'U CUSTURERI.

Veniva chiamato così il sarto di paese. Questo mestiere non viene più esercitato perchè, da ormai parecchi anni è stato soppiantato dala confezione, più economica e sbrigativa. Oggi, chi deve comprare del vestiario, si reca in uno dei tanti negozi di abbigliamento della città e, dopo aver scelto, secondo il proprio gusto e le proprie possibilità economiche, ne esce soddisfatto dell'acquisto fatto. In passato, invece, chi si rivolgeva 'o custureri, al sarto, (comunque, persona dotata di portafoglio un po' al di sopra della media), doveva munirsi di tanta pazienza per essere accontentato.
Dal catalogo aggiornato, bisognava fare la scelta della stoffa, sceglire il materiale, (es. lana, cotone, lino), scegliere il colore, ritirarla dallo stabilimento, scegliere il modello preferito, fare delle prove indosandolo e attendere il proprio turno. Certo, se lo scopo era quello di farsi fare un abito 'su misura', cucito a mano, allora valeva proprio la pena di andare a trovare il sarto di fiducia. La grande soddisfazione, era quella di sentirsi dire poi: "stu vistitu ti casca a pinnellu"! cioè, sembra disegnato col pennello.

Il sarto, prima di iniziare il lavoro, doveva prestare molta attenzione a prendere tutte le misure necessarie relative alla giacca (larghezza spalle, lunghezza manica...), ai pantaloni (giro vita, lunghezza gamba, cavallo...), al gilè, al cappotto o al mantello che il cliente desiderava e, per questo, si serviva d 'u metru.
'A fobbicia, detta anche 'a frovicia, non era altro che le affilatissime forbici in acciaio che servivano a tagliare la stoffa; 'a ugghia (l'ago comune per cucire); 'u sìgnu (il gesso colorato) per eseguire dei segni sulla stoffa e poi tagliarla; 'u ferru (il ferro da stiro di varia grandezza) che all'epoca era a carbone e solo in segiuto venne soppiantato da quello elettrico con spruzzo di vapore. Tantissimi erano gli attrezzi del sarto, che venivano tirati fuori dai cassetti nel momento del bisogno e usati sul grande tavolo da lavoro in legno.

C'è da dire che, a differenza di altri mestieri, quello del sarto, era considerato un lavoro leggero, pulito remunerativo; si svolgeva in casa al riparo dal caldo e dal freddo, e per tali motivi, erano molti gli apprendisti giovani che, dopo aver appreso le necessarie conoscenze e capacità, decidevano di mettersi in proprio oppure di andare a lavorare in città.

Aggiungo anche che: oggi, sebbene le cosiddette "pezzi 'ntò culu" non le porta più nessuno, poichè in paese ci vengono in contro i negozi cinesi, il Sarto propriamente detto, ritrova una posizione di privilegio molto distante dal popolo, solo quale atelier di alta moda per le grandi ditte (come: Armani, Missoni, Cavalli, Ferrè, ecc.), che producono capi unici, dai costi stratosferici e che vengono presentati nelle sfilate di tutto il Mondo, da modelle e modelli di grande fama per facoltosi multimiliardari e nulla più. Ma questo è un'altro discorso.
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