PERIODO PALEOLITICO –
La particolare posizione geografica dell’isola di Sicilia, posta al
centro del mare Mediterraneo, per millenni ha rappresentato il punto
d’incontro e, talora, di scontro delle principali civiltà di questo
bacino.
Ogni pietra, ogni anfratto, ogni grotta
mostrano i segni definiti della presenza di culture diverse, di cui non
tutto, al momento, appare chiaramente decifrabile. Basterebbe, però, che
l’interesse verso il passato assumesse i toni e i caratteri della
ricerca scientifica oculata e programmata, perché nuove sensazionali
scoperte venissero alla luce per confermare che questa incantevole
terra, ove le stagioni s’alternano senza i rigorosi loro tipici
sussulti, è stata elevata a dimora dell’uomo sin dalla sua iniziale
apparizione sul nostro pianeta.
La ricerca archeologica, qui, più che un’opera sistematica di valenti studiosi, è stata spesso frutto d’iniziative individuali,
i cui risultati sono serviti raramente a squarciare le ombre che ancora
oggi avvolgono il passato remoto di questa splendida terra.
Di certo, dovette trovarsi sito
l’Uomo di Neanderthal, la cui presenza, tra il 250.000 a. C. ed il
35.000 a. C., è rilevata in quasi tutti i paesi europei ed in Asia
occidentale e centrale.
Il periodo intorno al 35.000 a. C. non
va inteso come quello in cui cessa la sua esistenza l’Uomo di
Neanderthal per lasciare il posto all’Homo sapiens, ma l’epoca più o
meno approssimativa in cui si ha la progressiva e definitiva supremazia
dell’uomo moderno su tutte le precedenti specie.
Il materiale archeologico preistorico
rinvenuto nelle diverse ricognizioni fatte sul suolo isolano, che hanno
avuto inizio nel 1713 ad opera di padre Capuani, non è sufficientemente
apprezzabile per il numero di pezzi ritrovati, ma è pur sufficiente a
stabilire che la Sicilia fu abitata dai progenitori dell’Homo sapiens, in epoca databile attorno al milione di anni fa.
Conforta questa ipotesi, infatti, il
ritrovamento ad una profondità di circa 25 m., presso Termini Imerese,
comune della provincia di Palermo, di “strumenti quarzitici a scheggiatura bifacciale”,
tipici dell’Homo habilis abbevilliano. Altre presenze dell’uomo o dei
suoi lontani ascendenti nell’isola di Sicilia, durante il paleolitico
inferiore, sono segnalate dalle scoperte fatte da M. Bianchini nella
Valle dei Platani, presso Rocca di Vruaro, di armi in pietra a forma di
mandorla (amigdala) e sui terrazzi fluviali del Dittaino e del Simeto.
A questi interessanti
ritrovamenti vanno assommati i più recenti, fatti da M. Meli, nel 1961, a
Giancaniglia (Termini Imerese) e da E. De Miro, nel 1968, presso
Eraclea Minoa (Agrigento), di manufatti rozzamente lavorati, riferibili
con certezza al paleolitico inferiore.
Lo sviluppo della civiltà isolana del
paleolitico inferiore sembrerebbe procedere di pari passo con quello
della prospiciente costa tunisina, per cui potrebbe avanzarsi l’ipotesi
di uno scambio, anche lento, date le distanze, delle due civiltà.
Ciò farebbe pensare, almeno durante il paleolitico inferiore, ad un collegamento terrestre tra la Sicilia e la costa africana. Avvalorerebbero
questa ipotesi le caratteristiche similari del paesaggio paleolitico
della fauna e della flora delle due opposte coste mediterranee. Infatti,
mentre nella restante Europa in quest’epoca scompare del tutto
l’elephas mnaidriensis, esso continua a vivere indisturbato sia in
Sicilia sia nei territori nord-africani, come a significare un eguale
comune denominatore ambientale, dovuto ad agevoli o, per lo meno,
possibili collegamenti terrestri. Al tempo, ogni altra via di
comunicazione era preclusa sia all’uomo sia agli animali.
Le testimonianze archeologiche
riferentisi al paleolitico inferiore, anche se di numero limitato, sono
più che sufficienti a giustificare l’ipotesi della presenza dell’uomo in
Sicilia in questo periodo. Vengono, quindi, superate antiche
affermazioni che l’Isola fosse abitata a partire dal paleolitico
superiore, del quale, qui, come altrove, più consistenti sono i segni
tangibili del passaggio dell’uomo.
Non c’è grotta isolana che sia
priva di elementi identificatori della civiltà del tardo paleolitico, la
quale assume, soprattutto nelle grotte di Levanzo (isole Egadi - nella foto "la Grotta del Genovese"),
i caratteri tipici di quella cultura, definibili in ogni loro fase di
sviluppo. In questa fase della Preistoria la maggior parte della fauna è
costituita da cavalli, buoi, cervi, stambecchi, pesci, tutte figure
scolpite nelle pareti delle grotte delle Egadi.
Le figure talora tozze, tal’altra
raffinate, tal’altra ancora stilizzate, incise o dipinte (uomo
stilizzato nella Grotta del Pozzo a Favignana, come se l’autore volesse
lasciare un segno riconoscibile della sua arte, testimoniano il bisogno
figurativo, presente nell’uomo sin dalla fase più antica della sua
esistenza.
Tra tutte le grotte risplende
per avanzato senso estetico e critico la Grotta del Genovese a Levanzo,
ove, tra l’altro, i graffiti di un bos primigenus,
incisi con bulini di selce sulla nuda roccia, e la pittura di una
cerbiatta mostrano un bisogno di comunicazione e di cultura abbastanza
elevato dello sconosciuto artista. Nella stessa grotta, ma di origine
sicuramente più recente, neolitico-età del bronzo, sono rappresentati
animali domestici, tonni e donne in catene. Anche lungo le numerose
grotte del litorale trapanese, un tempo collegato con le prospicienti
isole aegusee, è stato rinvenuto interessante materiale attribuibile al
paleolitico superiore e databile attorno al 10000 a. C.
I reperti più diffusi di questa zona sono rappresentati da frammenti di ossa, selci, conchiglie
(una delle prime monete di scambio), ceneri, carboni, raschiatoi, punte
di ossidiana, lame litiche grezze e lavorate, bulini di varia natura,
ossi di cervi, asini, bovini, canidi, cinghiali, e una zampa di elefante
ritrovata dal marchese Della Rosa nella Grotta Emiliana in località
Bonagia (Valderice).
Spesso questi segni tangibili del
paleolitico superiore si accompagnano a pitture, incisioni sulla nuda
roccia, o lettere, croci, piccoli sacelli, tombe riferibili a civiltà
posteriori, come quella punica, greca, romana, primo-cristiana, araba e
spagnola.
La presenza di culture diverse stanziate
in epoche successive alle stesse grotte affermerebbe l’uso abitativo
millenario delle caverne, continuato fino all’evo moderno. A questi
importanti e rilevanti ritrovamenti compiuti lungo tutta la costa
trapanese vanno aggiunti gli altrettanto numerosi ritrovamenti di
materiale similare, portato alla luce su tutto il territorio isolano.
A qualche chilometro dall’aeroporto di Punta Raisi,
proprio alle pendici della Montagna Longa, in ricognizioni successive,
iniziate sin dal 1869 dal Gemellaro e proseguite , ai giorni nostri, dal
Mannino, sono stati ritrovati scheletri di elefanti, di bos
primigenus, di bison priscus, di cavalli, di ippopotami, d’uccelli,
rappresentazioni sulla nuda roccia di cerbiatti, cavalli, nonché oggetti
d’uso comune, tra cui lamelle litiche e conchiglie. Materiale
più o meno numeroso è rinvenibile anche in buona parte delle caverne
dell’Addaura, attorno a Monte Pellegrino, la montagna sovrastante il
capoluogo, e in tutte le restanti grotte del Palermitano, tra cui vanno
ricordate, per copiosità del materiale rinvenuto, la Grotta di S. Ciro e
la caverna di Monte Gallo. In epoche successive, non di rado, queste
grotte litoranee furono utilizzate dai mercanti di Tiro, prima, e dai
Cartaginesi, poi, come empori commerciali per i loro fiorenti traffici.
Ma non solo la Sicilia occidentale è
ricca di presenze umane del Paleolitico superiore: anche la costa
orientale, ove ben presto s’affaccerà la civiltà ellenica, conserva
nelle sue cavità e fosse marine i segni dell’uomo paleolitico. Le grotte
di questa parte di Sicilia risultano maggiormente interrate di quelle
occidentali. Le operazioni di sterramento per strati hanno portato alla
luce materiale vario di epoche susseguenti.
Di rilevante importanza è la scoperta di una punta litica, detta “a cran”, unico esemplare siculo, nella Grotta di S. Corrado,
assieme a bulini e ad altro materiale litico, e di ceramica dipinta di
epoca posteriore al paleolitico, assimilabile alla civiltà di
Castelluccio (2100-1500 a. C.).
Proseguendo nello studio del paleolitico
isolano, di notevole interesse appaiono i ritrovamenti fatti da P.
Graziosi nella grotta messinese di S. Teodoro, ove furono rinvenuti
negli strati superiori ossa di animali vari, mentre negli strati
inferiori selci e quarziti, frammenti di ossa riferibili all’Homo
sapiens, materiale litico vario ed uno scheletro umano in buona
conservazione. Altre stazioni abitative di questo periodo, importanti ai
fini della conoscenza del Paleolitico, sono quelle di Novara di Sicilia
(Messina) e di Corruggi (Pachino).
Sebbene sia numerosa la presenza di
manufatti dell’uomo del paleolitico in tutta l’Isola, mancano, eccezion
fatta per lo scheletro della Grotta di S. Teodoro, rinvenimenti di altri
resti umani. Questo è l’unico vero mistero che avvolge il Paleolitico
siciliano in tutte le sue fasi di sviluppo.
NOTA: I testi sono tratti dal libro di Gaspare Scarcella “La Sicilia dalle origini al processo Andreotti” del 1997.09 Gennaio 2014
LA SECONDA PARTE: SICILIA. LE ORIGINI: IL PERIODO PALEOLITICO E NEOLITICO (parte seconda)
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